IL CUORE DANNEGGIATO DA UN INFARTO PUO’ AUTORIGENERARSI

IL CUORE DANNEGGIATO DA UN INFARTO PUO’ AUTORIGENERARSI

SANITADOMANI.COM -MILANO. Un farmaco che possa rigenerare il cuore dopo un infarto, tramite un gene noto in campo oncologico per la capacità di far proliferare le cellule.
Sembra fantasia, invece è ciò a cui stanno concretamente lavorando i ricercatori dell’Irccs Multimedica, con un progetto attivo ormai da due anni guidato dal professor Gabriele D’Uva, Direttore del laboratorio di Rigenerazione Cardiaca della struttura.
La ricerca, finanziata dall’Unione Europea ha da poco ottenuto un primo importante riconoscimento: uno dei ricercatori del team del giovane prof. D’Uva, il dottor Nicola Pianca, ha vinto il ISHR-ES/Servier Research Fellowship 2019, una borsa di studio annuale istituito dall’ISHR, International Society for Heart Research.
A pesare sull’assegnazione del premio, oltre al prestigioso curriculum del dottor Pianca, la prospettata applicazione farmacologica della ricerca.
L’obiettivo è poter somministrare ai pazienti che hanno subito un infarto un farmaco, per via endovenosa o addirittura per via orale, che possa influire sulla rigenerazione del cuore, avendo risultati duraturi.
“Il cuore è costituito da cellule che non si rinnovano in età adulta – spiega il professor D’Uva – Dopo un infarto, il tessuto muscolare danneggiato viene rimpiazzato da tessuto fibroso, ovvero da una cicatrice;
questo comporta una diminuzione permanente della funzionalità del cuore”.
La svolta arriverebbe dall’individuazione del gene ERBB2, necessario alla proliferazione delle cellule muscolari del cuore in fase embrionale.
Per questa sua caratteristica, è anche legato alla crescita dei tumori; una malattia che nel cuore è rarissima, proprio per la sua resistenza a rigenerarsi.
“Stiamo lavorando per identificare alcuni fattori esogeni – spiega D’Uva – che funzionino da regolatori di questo gene, in modo da poterne aumentare i livelli nel cuore e indurne la rigenerazione”.
La ricerca scientifica ha tempi lunghi: per arrivare a un trattamento terapeutico si ipotizza una decina d’anno, tra studi e iter scientifico.
“La tesi di fondo – conclude il dottor Pianca – è arrivare alla riparazione delle cellule contrattili del cuore”
Il progetto, che si sta svolgendo in collaborazione con gruppi di ricerca israeliani, tedeschi e olandesi, ha avuto un finanziamento triennale, e sarà operativo per altri 14 mesi.

LA STRADA SEGUITA
DALLO SCIENZIATO

La ricerca sulla rigenerazione cardiaca prende spunto dall’analisi di alcuni anfibi e pesci, il cui cuore ha la capacità di rigenerarsi per tutto l’arco della vita.
Nel 2011, alcuni ricercatori di Dallas, negli stati uniti, hanno riscontrato questo processo anche nei mammiferi: nei topi appena nati era possibile vedere il cuore rigenerarsi, ma solo entro la prima settimana di vita.
In questo campo si è inserito lo studio del professor Gabriele D’Uva, che per 5 anni, nel laboratorio del Prof. Tzahor, ha guidato un team internazionale di ricercatori presso il Weizmann Institute of Science di Rehovot, in Israele, arrivando all’identificazione del gene ERBB2.
L’induzione di tale gene in cavie in età adulta, grazie anche a sofisticate tecniche di biologia molecolare, ha determinato la regressione delle cellule muscolari cardiache a uno stadio embrionale, ovvero al momento in cui si rigenerano.
Successivi esperimenti hanno permesso di riattivare il gene in modo e nei tempi adatti per indurre la corretta quantità di proliferazione di cellule muscolari cardiache, così da osservare una riparazione del cuore;
in poche settimane il muscolo cardiaco si era rigenerato.

COSA ACCADE AL NOSTRO CUORE
SE COLPITO DA UN INFARTO?

Qualunque siano le cause che determinano l’infarto, accade che il nostro cuore non sia ossigenato correttamente.
E il tempo, ovvero la rapidità di adeguato intervento sanitario, infatti, è il fattore più importante per ridurre i danni al muscolo cardiaco o addirittura per evitare la morte.
Il cuore una volta rimasto senza ossigeno, per l’ostruzione di un’arteria coronarica od altre cause, subisce la necrosi dei tessuti.
Minore è il tempo di intervento medico affinchè si ridia ossigeno al cuore, minore è il danno che il più importante muscolo del corpo umano subisce.
La parete del cuore danneggiata è come se avesse subito una ferita che quindi si cicatrizza.
Il “tessuto morto” rimarrà tale per sempre, impedendo, a seconda dalla sua estensione, un perfetto funzionamento cardiocircolatorio.
Il lavoro del prof.D’Uva punta a far sì che un gene possa aiutare il cuore a far rinascere il tessuto che si danneggia: ovvero stimolare la cardiogenesi.
Abbiamo raccontato questo importante aspetto scientifico dell’infarto con un linguaggio che avrà causato l’accelerazione del battito cardiaco di numerosi cardiologi.
Ma solo in questo modo semplice sappiamo di poter comunicare con chiunque, proprio perché tutti i nostri lettori possano comprendere la grandezza del lavoro scientifico che si sta svolgendo nel centro di ricerca dell’Ospedale Multimedica di Sesto San Giovanni, ma soprattutto della rilevante importanza della ricerca scientifica in assoluto.

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