Cancro ovarico, alla ricerca di farmaci contro le metastasi
Sanitadomani.com – MILANO: i ricercatori dello IEO identificano le cellule responsabili delle metastasi del cancro ovarico. Un risultato che permette di mettere allo studio farmaci capaci di eliminarle.
E’ un altro risultato della struttura milanese. L’Istituto Europeo di Oncologia, insieme all’Università Statale di Milano, hanno evidenziato come le risposte ai farmaci siano diverse in base alle cellule metastatiche; e questo accade anche nel medesimo paziente.
I risultati hanno trovato posto fra gli articoli pubblicati “Cell Death and Differentiation”; lo studo è stato finanziato anche con il contributo di Fondazione AIRC.
Cancro ovarico, possono arrivare farmaci con efficacia maggiore
Lo studio ha analizzato degli organoidi monoclonali di cancro ovarico; vale a dire colture tridimensionali create in laboratorio. Queste derivano da singole cellule isolate dall’ascite, il liquido che si accumula nell’addome quando il cancro ovarico è in fase metastatica.
“Abbiamo così messo a punto i primi organoidi clonali – spiega Giuseppe Testa, Direttore Laboratorio di Epigenetica delle Cellule Staminali e Professore di Biologia Molecolare all’Università Statale di Milano -. Lo studio del singolo clone ha rivelato che le cellule metastatiche di una stessa paziente sono diverse l’una dall’altra; questa diversità è la chiave per trovare farmaci efficaci contro la diffusione della malattia”.
Le cellule tumorali presenti hanno capacità molto differenti nel dare origine a metastasi. La ricerca italiana permette di identificare questa caratteristica, e di conseguenza di misurare la loro specifica sensibilità ai farmaci. E’ un modo per distruggere le molecole più sensibili in modo preciso e in maniera selettiva.
“Il nostro lavoro – continua il professor Testa – apre la strada a forti ricadute cliniche nel medio termine; offre infatti un potente strumento di medicina di precisione contro il cancro ovarico. E’ una delle sfide più difficili dell’oncologia contemporanea”.
La letalità della patologia
Il cancro ovarico ha delle caratteristiche proprio che lo rendono uno dei più letali. Per esempio la posizione, che facilita la diffusione precoce nell’addome, proprio grazie al liquido ascitico. Questo elemento si forma in seguito alla presenza del tumore; così le cellule si spostano verso altri organi e creano metastasi. Ma non tutte le cellule si comportano in questo modo.
“Nel liquido ascitico non tutte le cellule sono metastatiche, ma non sappiano quali lo siano e quali no. – Così spiegano Emanuele Villa e Bianca Barzaghi, ricercatori di IEO primo e secondo autore dell’articolo -. Uno dei motivi per cui i farmaci efficaci sono attualmente limitati è anche la mancanza di modelli sperimentali adeguati; questi servono per analizzare, cellula per cellula, gli aspetti rilevanti della malattia dal punto di vista fisiopatologico, come appunto il potenziale metastatico. La nostra priorità è lo sviluppo di nuovi metodi; partendo dalle lesioni originarie, paziente per paziente, identifichino e analizzino il sottogruppo di cellule che mantiene la crescita del tumore. Gli organoidi clonali sono un contributo fondamentale in questa direzione”.
I modelli in laboratorio
Gli organoidi in tre dimensioni quindi sono strumenti capaci di riprodurre le caratteristiche del tessuto o dell’organo di origine. In laboratori i ricercatori hanno sviluppato sottopopolazioni di cellule che rispecchiano la complessità originaria. “Noi siamo riusciti per la prima volta a isolare e propagare organoidi da singole cellule, il che ci ha permesso di distinguere fra cellule resistenti al trattamento con chemioterapici e cellule invece sensibili”. Lo ha detto Pietro Lo Riso, ricercatore di IEO e coautore dell’articolo.
Il tumore ovarico in effeti risponde alla chemioterapia, tranne quella frazione di cellule responsabili della recidiva. Per questo la strada da seguire è trovare la terapia ideale che combina farmaci tradizionali e farmaci mirati contro le cellule metastatiche.
“Gli organoidi monoclonali ci hanno permesso di identificare bersagli specifici e finora sconosciuti su cui concentrare le terapie – conclude Giuseppe Testa -. I prossimi passi sono ora individuare i farmaci a cui le cellule con potenziale metastatico sono sensibili. Poi mettere a fuoco la loro “firma molecolare”, vale a dire l’insieme dei geni che le caratterizzano, per riconoscerle immediatamente in caso riemergano”.