Centri estivi, l’estate vuota dei ragazzi con disabilità
sanitàdomani.com – MONZA: Non per tutti i bambini e i ragazzi l’estate è sinonimo di libertà e centri estivi. Per i ragazzi con disabilità gravi, il rischio di restare parecchio tempo in casa è alto. Soprattutto dopo l’età delle scuole medie, la proposta delle istituzioni – ma anche delle realtà private – per i centri estivi è pressoché inesistente. E trovare un assistente capace di seguire un ragazzo nelle attività che vuole intraprendere, più difficile di quanto si immagini.
Lo racconta Cristina Motta, insieme a sua figlia Gaia, una 19enne malata di Sma. Gaia sta preparando l’esame di maturità al liceo linguistico, prima di frequentare Psicologia all’Università. Ma nel mezzo, c’è l’estate.
“Ora la scuola è finita, e Gaia è semplicemente a casa – racconta Cristina – . Non esistono centri estivi per ragazzi delle superiori. Né normodotati, né tantomeno con disabilità. Una assistente sociale mi ha addirittura consigliato di mandarla ai centri diurni, ma a fare cosa? Ovviamente mia figlia non ci vuole andare, perché non è quello ciò di cui ha bisogno”.
Almeno durante le scuole elementari e medie, la situazione era migliore; il Comune di Lesmo, dove vivono, mandava un educatore che accompagnava Gaia all’oratorio estivo. “Devo ammettere che in questo mia figlia è stata fortunata. Le ragazze che prestavano servizio in oratorio erano bravissime, in certi aspetti più degli educatori, che non avevano una preparazione così specifica. Però nessuno ha mai posto grossi limiti per l’assistenza che dovevano prestare. Poi, dopo la seconda media, il nulla. Quando Gaia era più piccola – continua Cristina – mi occupavo io di portarla magari in piscina, ma ora da sola non ce la faccio. E non c’è nessuna struttura che sia adeguata”.
Quello che a Gaia servirebbe è una assistenza continuata, che tenga conto delle sue necessità sul piano fisico nell’adempiere alle diverse mansioni quotidiane. “Il problema è trovare una figura preparata, che si occupi della persona a tutto tondo. Noi da quattro anni siamo in trattativa col Comune per avere un paio di ore di assistenza a casa. Perché magari ci offrono un educatore, ma poi lui per contratto non porta mia figlia in bagno o non la aiuta col pranzo. Il suo ruolo ufficiale è quello di aiutarla con i compiti o le attività, per esempio. Ma io cosa dovrei fare, avere una seconda persona che viene mezz’ora per i pasti? Così alla fine, facciamo in famiglia”.
Rivolgendosi alle Cooperative, speso si ha ancora meno flessibilità. Il personale che viene mandato segue orario quasi “da ufficio”, quindi le sere e i fine settimana non sono quasi mai disponibili. Inoltre hanno contratti che non permettono loro adempiere a certe mansioni; per esempio guidare la macchina trasportando la persona disabile. “Proprio per questo – continua la mamma – ho dovuto in passato far firmare montagne di carte perché l’educatore potesse guidare la mia auto, adatta a trasportare Gaia. Inoltre, il costo del personale tramite Cooperativa si alza molto, rispetto a trovare una persona privatamente; arriva fino a 20 euro all’ora. E’ impensabile. Secondo loro, dovremmo pagare con il contributo B1, quello per le non autosufficienze. Ma non ci stiamo così”.
Inoltre, l’ostacolo più grande non è neppure quello economico, ma proprio quello di trovare personale adatto. “Talvolta le Cooperativa mandano personale socio – sanitari oppure socio – assistenziali, ma non sono adatti al nostro caso. Gaia non ha bisogno di un infermiere né di un badante. Inoltre sono quasi sempre persone di una certa età, mentre è normale che una ragazza di 19 anni vorrebbe a fianco, se non un coetaneo, qualcuno con cui rapportarsi”.
Richieste che faticano a trovare corrispondenza nel concreto; perché ogni persona è a sé, e ha esigenze specifiche. Per questo bisogna essere disposti a una formazione ad personam. “I genitori sono bravissimi a formare gli assistenti; ma loro devono essere disponibili. In fondo, non sono azioni complicate; io ho insegnato al mio compagno come aiutare Gaia senza troppe difficoltà. Comunque continuo a cercare qualcuno, anche per dare a mia figlia un cambio nei rapporti personali. A 19 anni, non è l’aspirazione massima passare l’estate solo con la famiglia”.