Così l’astronomia combatte i tumori
Sanitadomani.com – Milano. Abbinando algoritmi di mappatura del cielo con l’imaging avanzato di immunofluorescenza di biopsie tumorali,è stata sviluppata una piattaforma per guidare l’immunoterapia prevedendo quali tumori risponderanno a terapie specifiche mirate al sistema immunitario.
E’ questo l’esito dello studio condotto dai ricercatori del Mark Foundation Center for Advanced Genomics and Imaging della Johns Hopkins University e del Bloomberg-Kimmel Institute for Cancer Immunotherapy.
La piattaforma si chiama AstroPath e unisce l’analisi delle immagini astronomiche e la mappatura con campioni di patologie per analizzare le immagini microscopiche dei tumori.
Gli scienziati utilizzano anticorpi con tag fluorescenti.
Con questa tecnica l’imaging immunofluorescente consente ai ricercatori di visualizzare più proteine cellulari contemporaneamente e determinarne il modello e la forza di espressione.
Verso l’immunoterapia…
Applicando AstroPath, i ricercatori hanno studiato il melanoma, un tipo aggressivo di cancro della pelle.
“Questa piattaforma ha il potenziale per trasformare il modo in cui gli oncologi forniranno l’immunoterapia contro il cancro” – afferma Drew Pardoll, M.D., Ph.D., direttore del Bloomberg~Kimmel Institute for Cancer Immunotherapy.
“Negli ultimi 40 anni, l’analisi patologica del cancro ha esaminato un marker alla volta, fornendo informazioni limitate.
Sfruttando la nuova tecnologia, inclusa la strumentazione per visualizzare fino a 12 marker contemporaneamente,
gli algoritmi di imaging di AstroPath forniscono 1.000 volte il contenuto di informazioni da un biopsia singola rispetto a quella attualmente disponibile attraverso la patologia di routine.
Questo facilita l’immunoterapia del cancro di precisione, identificando le caratteristiche uniche del cancro di ciascun paziente per prevedere chi risponderà a una determinata immunoterapia, come l’anti-PD-1, e chi no quindi, fa avanzare anche la patologia diagnostica dai test uniparametrici a quelli multiparametrici“.
La ricerca è stata pubblicata l’11 giugno scorso su Science.