Diagnosi di Alzheimer: un studio per renderla più precoce
Sanitadomani.com – FIRENZE: Un progetto per prevedere l’evoluzione e anticipare la diagnosi di Alzheimer. Un modo per aumentare l’efficacia delle terapie e migliorare il modello i riabilitazione.
Protagonisti i ricercatori di quattro enti, uniti in un progetto finanziato dalla Regione Toscana. A lavorare insieme sono l’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi (capofila), la Fondazione Don Gnocchi Firenze, l’Università degli Studi di Firenze e la Scuola Superiore S. Anna di Pisa.
RIABILITAZIONE PR I MALATI DI ALZHEIMER
Gli interventi precoci possono rallentare il percorso degenerativo delle funzioni cognitive, prima che raggiungano il livello patologico. L’avvio anticipato delle terapie è una delle strade migliori per rallentare lo sviluppo della malattia.
«Con questo progetto puntiamo a sviluppare un nuovo modello di riabilitazione – dice Maria Chiara Carrozza, direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi. L’importante è intervenire prima che l’Alzheimer si presenti in forma acuta.
Per questo è fondamentale anticipare il prima possibile la diagnosi
«Con questo progetto abbiamo l’ambizione di capire in anticipo quali sono le persone più a rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer – aggiunge Sandro Sorbi, direttore scientifico dell’IRCCS Don Gnocchi di Firenze . Così siamo in grado di rendere più efficaci le terapie oggi esistenti che mirano ad agire nella fase iniziale o pre-clinica della malattia. Inoltre, possiamo individuare trattamenti riabilitativi anticipati per persone che al momento non hanno funzioni alterate. Per usare un paragone – conclude Sorbi – è come abbassare il colesterolo per prevenire l’infarto».
I DATI DELLA RICERCA
Lo studio ha già reclutato oltre 300 pazienti con disturbi lievi di memoria o cognitivi. Persone intorno ai 60 anni di età, quando un indebolimento delle facoltà cognitive può essere un segnale da non trascurare per una diagnosi di Alzheimer.
“I soggetti hanno avuto un’ampia valutazione neuropsicologica, attraverso test, questionari di personalità e valutazione delle attività intellettuali e sociali. A questi si aggiungeranno altri 50 nuovi soggetti». Così spiega Valentina Bessi, coordinatrice della ricerca e responsabile al Careggi del Centro regionale per la malattia di Alzheimer e per i disturbi cognitivi.
I ricercatori hanno appurato che i disturbi non siano temporanei o legati a cause quali depressione o assunzione di farmaci. Il disturbo è classificato come cognitivo soggettivo e il paziente viene sottoposto ad altri esami.
I dati raccolti saranno successivamente analizzati da un team che fa capo ad Alberto Mazzoni, ricercatore presso l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore S. Anna di Pisa. Il professore li elaborerà attraverso algoritmi di Machine Learning; l’obiettivo è individuare eventuali elementi nel segnale elettroencefalografico in grado di predire la probabilità che il lieve disturbo cognitivo possa evolversi in malattia di Alzheimer.