Tachicardie ventricolari, studio italiano mostra l’efficacia della radioablazione
Sanitadomani.com – MILANO: Uno studio sperimentale europeo sulle tachicardie ventricolari dimostra l’efficacia della radioterapia stereotassica, comunemente detta radioablazione.
La ricerca che conferma questi risultati ha firma italiana, per mano di due strutture di eccellenza: il centro cardiologico Monzino e l’Istituto europeo di Oncologia.
Lo studio prospettivo, il primo di questo genere in Europa, ha nome STRA-MI-VT – STereotactic RadioAblation by Multimodal Imaging for Ventricular Tachycardia – e trovato spazio sulle pagine della rivista Journal of Interventional Cardiac Electrophysiology.
I dati sulle tachicardie ventricolari
La radioablazione é una tecnica ancora considerata sperimentale, utilizzata in pochi centri in tutto il mondo. Per questo lo studio risulta così interessante, valutando anche gli effetti della tecnica in base alla mortalità globale causata dalle tachicardie ventricolari.
La ricerca ha preso in esame all’inizio 8 pazienti, che non rispondevano alle terapie convenzionali. Il trattamento ha avuto un effetto definito di “rinascita”, grazie a una drastica riduzione degli episodi aritmici. Ne consegue ovviamente un miglioramento della qualità di vita, il tutto senza effetti collaterali significativi.
La tachicardia ventricolare influesce prepotentemente sulla quotidianità, dato che gli attacchi sono continui. Per questo i pazienti hanno assoluta necessità di trattamenti, se non risolutivi, almeno fortemente impattanti. Una delle metodiche più utilizzata è l’ablazione trans catetere, ovvero la cauterizzazione delle aree aritmiche tramite catetere inserito attraverso i vasi sanguigni, o mediante accesso pericardico. Ma non tutti i pazienti, causa il loro quadro clinico, possono affronta tale intervento.
“Il trattamento convenzionale prevede l’impianto di cardioverter – spiega Corrado Carbucicchio, Responsabile dell’Unità Trattamento Intensivo Aritmie Ventricolari e coordinatore dello studio -; a questo si aggiunge , la somministrazione di farmaci antiaritmici. L’ablazione trans catetere poi è una metodica ampliamente collaudata ed efficace nella maggior parte dei pazienti.
Tuttavia non tutti i pazienti possono essere sottoposti a questa procedura interventistica. Il cosiddetto “substrato aritmogeno”, vale a dire il tessuto cardiaco da cui originano le aritmie, può essere infatti troppo esteso e profondo per essere raggiunto via catetere.
L’ ablazione transacatetere è inoltre una tecnica invasiva che può comportare in questi pazienti fragili complicanze troppo gravi”.
Ecco perché, in questi casi si passa alla radioablazione. “Questa rappresenta dunque un trattamento salvavita – continua Carbucicchio – ; con una sola seduta di trattamento e utilizzando fasci di radiazioni esterne, permette di raggiungere le zone malate del cuore che non sarebbero altrimenti raggiungibili”.
Come funziona la radioablazione
Si tratta di un intervento non invasivo e indolore, in una sola seduta della durata di circa 20 minuti, estremamente preciso nella somministrazione della dose.
Il primo passo consiste in una procedura di simulazione tramite TAC con mezzo di contrasto, per definire la sede e le dimensioni del distretto da irradiare.
Poi i medici elaborano un piano di trattamento molto sofisticato, definendo le entrate del fascio di radiazioni e la distribuzione della dose di radioterapia.
“L’estrema selettività della radioterapia garantisce una buona tolleranza al trattamento- spiega Barbara Jereczek, Direttrice della Divisione di Radioterapia IEO -; gli effetti collaterali che possono verificarsi sono transitori e facilmente gestibili (nausea, fenomeni infiammatori circoscritti). La tecnica si basa sulla cooperazione di diversi gruppi multidisciplinari e la sua efficacia dipende in primis dall’esattezza con cui si identifica il bersaglio da colpire con le radiazioni: quella porzione di tessuto cardiaco in cui nasce l’aritmia”
Per questo, i ricercatori di Monzino e Ieo vogliono dimostrare che la radioablazione può essere una vera e propria opzione ai trattamenti più tradizionali.
“Stiamo creando una rete internazionale di centri altamente specializzati per mettere a fattor comune i dati. Siamo pronti a metterci alla guida del progetto, forti della nostra esperienza. Fino ad ora i pazienti trattati nel mondo sono poche decine e noi al Monzino – dati conclude Carbucicchio – presto avremo la più ampia casistica come singolo centro” .